Confcooperative si presenta agli studenti dell'Insubria: "Apritevi a nuove prospettive"
Date : 31 Marzo 2022
Hanno iniziato con l’università dell’Insubria di Varese e continueranno con gli altri atenei del territorio. Confcooperative Insubria si interroga sul lavoro del futuro nel mondo della cooperazione e lo fa partendo dal dialogo con i giovani universitari. Una scelta che va in due direzioni precise, da una parte andare incontro al cambiamento, per non subirlo passivamente, dall’altra favorire il ricambio generazionale negli organi di gestione. E poi c’è una terza direzione, forse ancor più importante delle precedenti, perché ne rappresenta la premessa necessaria: far conoscere ai giovani la cultura dell’impresa cooperativa e le sue potenzialità.
Il mondo della cooperazione è ancora poco noto e la sua conoscenza è condizionata da alcuni stereotipi non rispondenti alla realtà, primo fra tutti che le imprese cooperative siano imprese di serie B. Invece danno lavoro a molte persone, fanno girare l’economia nei settori meno redditivi e arrivano laddove il pubblico non arriva. Insomma, svolgono un ruolo fondamentale e imprescindibile sia sul piano economico che su quello sociale.
Il viaggio di Varesenews per conoscere più da vicino il mondo della cooperazione inizia con un'intervista a Domenico Pietrantonio (foto sopra), vicepresidente vicario di Confcooperative Insubria e presidente del consiglio di gestione della cooperativa Solidarietà e servizi, uno degli artefici principali dell’incontro avvenuto all’Università dell’Insubria.
Pietrantonio, perché siete partiti proprio dall’università?
«Perché questa apertura rappresenta uno dei punti più importanti del mandato che l’attuale governance di Confcooperative Insubria ha inserito nel suo programma. Quando si parla di cambiamento, il punto di riferimento unico ed esclusivo è sempre la persona. In un tempo in cui il mercato cambia e la realtà è in continua evoluzione, tra l’altro con i risvolti drammatici che stiamo vivendo, il capitale umano è la risorsa decisiva che abbiamo a disposizione per affrontarlo.
Abbiamo il desiderio di metterci in gioco per creare opportunità, strumenti e modalità attraverso cui realizzare il bene comune. Il rapporto con l’università rappresenta la possibilità di migliorare la gestione delle realtà cooperative della provincia di Varese e Como che hanno un imprinting di utilità sociale e solidale che poggia su valori costitutivi solidi, ma che hanno bisogno anche di altro per stare al passo con i tempi».
Che domande vi siete posti per affrontare questo passaggio?
«Ci siamo chiesti se oggi un ragazzo che studia economia tra le varie possibilità immagina anche quella di poter lavorare in una cooperativa o di costituirne una, pur sapendo che non parliamo di una realtà di capitali ma di persone che operano per le persone. Detto questo, c’è anche un aspetto quantitativo del movimento cooperativo che gli studenti universitari dovrebbero conoscere. Confcooperative Insubria ha 410 realtà associate, che generano un fatturato di 250 milioni di euro, fanno lavorare 11mila persone e pssono contare su 35mila soci. Sono numeri che hanno un volto e che rispondono a bisogni importanti delle famiglie, tra cui l’assistenza dei diversamente abili e degli anziani».
Anche le cooperative, come sta accadendo per le pmi, sentono la necessità di un’integrazione manageriale?
«È un cambiamento favorito dalla realtà che stiamo vivendo. La cooperativa che rappresento e che gestisce oltre cinquecento persone, deve avere attenzione a strumenti e modalità di tipo manageriale. E lo stesso dovrebbe fare una che ne gestisce solo dieci. E poi c’è una consapevolezza, un fattore interno per cui le risorse materiali e umane necessitano di una gestione che tenendole insieme le possa far convergere verso l’obiettivo che la cooperativa persegue.
Sicuramente non abbiamo la complessità di Stellantis, ma anche alle cooperative viene chiesta una capacità esecutiva ai tempi del Pnrr. Per far sì che queste risorse arrivino sui territori e siano utilizzate c’è bisogno di una certa capacità progettuale e di una capacità esecutiva».
Questa collaborazione con l’Università dell’Insubria va anche oltre la parte manageriale?
«Certo, è un aspetto che non abbiamo ancora affrontato, ma l’Insubria ha una facoltà che forma gli educatori professionali che sono la risorsa principale delle cooperative sociali che si occupano di disabili, bambini e anziani. Questa collaborazione ha alla radice una possibilità di integrazione che ha infinite possibilità. Gli educatori possono avere la possibilità di crescere e a loro volta dare un valore aggiunto alla cooperativa per cui lavorano. È un’operazione ha in sé un aspetto sociale e uno economico che non possono essere disgiunti. Nella cooperazione materia e spirito stanno insieme».
L’unicità di cui le parla dovrebbe spianare la strada alla sussidiarietà, eppure non sempre viene percepita come la soluzione giusta per dare risposte alle esigenze delle persone.
Perché?
«Il nostro contesto per quanto normativamente evoluto ha un approccio che non è ancora nella direzione di una vera, riconosciuta, concreta sussidiarietà, peraltro principio sancito dalla carta costituzionale. In concreto significa che i bisogni e i progetti relativi alle esigenze delle persone che vivono situazioni di fragilità possono avere una capacità di lettura, risposta e gestione da parte di enti del terzo settore e della società civile. Invece, spesso succede che gli enti pubblici, per esempio i comuni, si arrogano la prerogativa di progettare, realizzare e gestire. È un elemento di contesto che spesso genera inefficienza e inefficacia, perché usa male le risorse e non è in grado di far sì che i risultati conseguiti dai servizi gestiti vadano nella direzione di soddisfare le esigenze delle persone. Questo è un elemento con cui ci dobbiamo confrontare spesso. È sempre più importante ragionare con la "e" e non con la "o" ecco perché quando c’è la collaborazione con un’università o un altro ente si genera una moltiplicazione delle risorse e dei risultati. La sussidiarietà non è una concezione politica ma è una modalità che viaggia sulle gambe delle persone. Lo Stato non è tutto e tantomeno lo è il comune».
Qual è la parola chiave di questo tempo?
«Speranza, che si può ritrovare lavorando insieme e prendendo spunto dai buoni esempi. Solo così possiamo continuare a progettare e dare risposte ai nuovi bisogni».
C’è un buon esempio che le ha ridato speranza?
«Sicuramente quello di Valentina, una ragazza con la sindrome di down che frequenta uno dei servizi della nostra cooperativa. Valentina ha recitato nella serie televisiva "Ognuno è perfetto" del regista Giacomo Campiotti andata in onda su Rai Uno e ha partecipato a diversi progetti teatrali importanti come "I miserabili" , "La divina commedia" e "Gian Burrasca", spettacoli visti a teatro da migliaia di persone. Andai a trovarla in camerino, dopo il primo spettacolo, per farle i complimenti.
Lei mi rispose: "Grazie Domenico, sono stata brava. Io nella vita voglio fare l’attrice". Non risposi subito e rimasi per qualche istante in silenzio a rimuginare sulla fattibilità di quel desiderio. E subito dopo aggiunse: "Per interpretare Gian burrasca ho dovuto studiare tanto e imparare a memoria il copione". La speranza di Valentina non era nell’Iperuranio, ma era inserita in una progettualità e in un impegno ben definiti e reali. È stata una grande lezione».
https://www.varesenews.it/2019/12/valentina-realizza-suo-sogno-serata-ognuno-perfetto/883201/